S. GIULIA A LUCCA:
LA CHIESA E IL CULTO DELLA SANTA*

a) Il culto e la Passio di s. Giulia

S. Giulia è oggi nota soprattutto in due aree ben delimitate: Livorno e
Brescia. Nella prima il culto è tuttora vivo e fiorente, in quanto la santa è
patrona della città; nella seconda l’interesse è puramente culturale e nasce dalla
presenza del celebre monastero di S. Salvatore – S. Giulia: soppresso nel
1798, è stato oggetto soprattutto in questi ultimi decenni di indagini e di studi,
culminati nella realizzazione di un prestigioso museo che ha dato il via a tutta
una serie di convegni e pubblicazioni (1).
Meno nota, invece, è la presenza nelle diocesi di Lucca e Pisa, anche se
nella seconda si trovava la pieve di S. Giulia di Porto Pisano da cui trae origine
il patronato sulla città di Livorno (2). All’area lucchese saranno dedicate
le pagine che seguono, parte di una più ampia ricerca sviluppatasi attorno allo
studio dei testi agiografici e liturgici per la santa (3).
Chiunque si occupi di s. Giulia ha conoscenza della Passio edita negli Acta
Sanctorum e recensita nella Bibliotheca Hagiographica Latina col numero
4516 (4), ma è forse opportuna qualche precisazione: non esistono diverse
recensioni di questa redazione, ma un numero relativamente alto di testimoni,
pur con alcune significative varianti; la Passio BHL 4517, conservata da un
solo testimone, è di minor valore per lo studio della tradizione, dato che si
tratta semplicemente di un rimaneggiamento molto tardo di BHL 4516 (5);
esistono invece altre due redazioni, di cui pubblicherò l’edizione critica assieme
a quella di BHL 4516 (6).
Ora, l’osservazione che più colpisce, nel passare in rassegna i testimoni
della Passio sanctae Iuliae BHL 4516, è proprio il fatto che la maggior parte
di essi, come ho già avuto occasione di sottolineare, sia di provenienza lucchese:
il fatto poi che altri due testimoni siano uno pisano e uno pistoiese (7),
mi pare autorizzi a definire tale redazione quanto meno come “toscana”. Si
sarebbe tentati di definirla senz’altro “lucchese” (8), se ciò non comportasse
anche una valutazione sul luogo di composizione (9), valutazione che non può
essere fondata solamente sui testimoni della Passio, poiché non risalgono più
indietro della fine dell’XI secolo.
Ci sono in compenso motivi per supporre che Lucca sia stata il principale
centro di culto a santa Giulia in Toscana, se non addirittura il centro di
irradiazione, ipotesi che renderebbe più verisimile un’origine lucchese della
Passio: lo vedremo analizzando le intitolazioni lucchesi alla santa, in particolare
la chiesa di S. Giulia in Lucca.

b) Intitolazioni lucchesi a s. Giulia

La prima menzione di una chiesa di S. Giulia in Lucca si ha in un documento
del 900 (10), ma nel 1859, in occasione di scavi per lavori urbani nell’area
antistante la chiesa, vennero alla luce, nell’angolo meridionale della facciata,
sepolture datate attorno alla metà del VII secolo (11). Una in particolare
presentava un sontuoso corredo, appartenuto certamente a un personaggio di
alto rango. Secondo Ciampoltrini “…la precisa localizzazione del ritrovamento
sembra portare ad escludere una casuale sovrapposizione fra edificio sacro e
deposizione; è probabile quindi che l’anonimo longobardo si fosse fatto seppellire
in una chiesa, forse una Eigenkirche.” (12) All’età longobarda è quindi da attribuire

la fondazione della chiesa (13) – anche se non necessariamente
l’intitolazione a s. Giulia.
Già Bini, scrivendo nel 1858, cioè poco prima della scoperta delle tombe,
riteneva di dover anticipare la fondazione di almeno un secolo rispetto al primo
documento, ma ne individuava il motivo nella traslazione desideriana della martire
dalla Gorgona a Brescia nel 763 (14): ipotesi che non condivido, poiché
ritengo tale traslazione conseguenza e non causa del culto in Toscana (15).
In ogni caso, fin dal 772 è attestata una ecclesia baptismalis (16) dedicata
a S. Giulia in località Controne (oggi parte di Bagni di Lucca) e il tenore del
documento fa pensare a un’istituzione ormai consolidata: il chierico Ursiperto,
de loco Controne, costituito rettore della chiesa di S. Cassiano di Controne,
promette al vescovo Peredeo “…ne(que) contra uos, ne(que) contra pr(es)b(iteru)
m uestr(um), quem uos in eccl(esia) uestra S(an)c(t)ae Iuliae baptismale,
agere presumam, neq(ue) sine uestra licentia uel de ipso pr(es)b(iter)o uestro
missam cantare debeam in ipsa eccl(esia) S(an)c(t)i Cassiani…” (17). Nanni, in
un esame delle prime intitolazioni delle pievi lucchesi teso a dimostrare come
“tutta l’organizzazione plebanale della diocesi risalga all’età romana”, annovera
Giulia fra i “santi dell’età romana” (18): nulla mi risulta che possa far
considerare il culto di s. Giulia così antico (19), ma di certo ritengo assai improbabile
che la chiesa potesse esser sorta poco tempo prima del 772 (20).
C’è però un’altra notizia che ci permette di risalire ancora più indietro
nell’esame delle intitolazioni a s. Giulia. Nella Collectio canonum del cardinale
Deusdedit (21) il capitolo 191 del libro III contiene un documento che l’Autore
dichiara di aver tratto da due fonti, una riferita ad un papa Giovanni, l’altra
a un papa Gregorio. Il documento riporta un lungo elenco di beni, “patrimonia
beati Petri apostoli”, che vanno dalla città di Lucca, col suo territorio,
fino a quello Rosellano: in quest’ultimo, fra l’altro, si trovano “Et due curtes,
que uocantur Piscaria et Flacianum, cum caio suo, qui dicitur tertio, una cum
monasterio sancte Iulie nec non et uilla magna et fossa, que uocatur Flexu,
cum omnibus eis pertinentibus: posite sunt prefato territorio Rosellano…” (22).
Kurze ha dimostrato che nei due papi di cui fa il nome Deusdedit sono
da riconoscere Giovanni VII (705-707) e Gregorio III (731–741), rilevando
come le buone relazioni dei due pontefici con i re longobardi (rispettivamente
Ariperto II e Liutprando) spieghino pienamente le donazioni, o restituzioni,
dei beni citati nel documento (23). La notizia sul “monasterium Sanctae Iuliae”,
pur coi limiti di una testimonianza tardiva e isolata, colloca così la più antica
attestazione del culto alla santa nei primi anni dell’VIII secolo, se non nel precedente,
come suggerisce Kurze: “…già prima dell’inizio dell’VIII secolo, alcuni
singoli possessi… appartenevano ai papi. L’uso di questi beni non fu loro più
permesso dai longobardi prima di Giovanni VII.” (24). Va però precisato che,
monasterium, in questo caso, non è probabilmente da intendere nel senso più
comune, bensì nell’accezione di ‘oratorio fondato da privati sotto l’impulso
delle missioni cattoliche rivolte agli ariani, ma inserito a pieno titolo nell’ordinamento
diocesano e pievano’, come è stato precisato da Conti in uno studio
che ha proseguito quelli di Bognetti sui loca sanctorum (25).
Se interessante è la datazione fornita da questa prima testimonianza, altrettanto
lo è il fatto che rimandi, ancora una volta, all’ámbito lucchese, come fa
notare Burattini: “L’insieme dei beni immobili elencati con le curtes rosellane
comprende località della Toscana occidentale dai dintorni di Lucca fino a
Campagnatico e perciò da una parte consente di attribuire le donazioni ai longobardi
di Lucca, dall’altra conferma la presenza di un predominio lucchese
sulla Maremma, ben noto da altre fonti.” (26)
Alla luce di queste ultime considerazioni, si può anche rivedere il problema
delle due chiese precedenti: l’intitolazione a s. Giulia di quella in Lucca,
infatti, appare ora plausibile fin dal momento in cui venne sepolto nei suoi
pressi un importante personaggio longobardo, attorno alla metà del VII secolo,
e anche per quella di Controne si può pensare a un’origine decisamente anteriore
al 772, pur senza pronunciarsi sulla sua funzione di chiesa battesimale.
Quanto visto finora induce a radicare in area lucchese, in piena età longobarda (ben prima cioè della traslazione a Brescia), il culto di s. Giulia (27),
ma troppo scarse sono al momento le notizie per valutarne la rilevanza; se
invece ci spostiamo in epoca più tarda, preziose informazioni si possono ricavare
dalla più importante fonte liturgica lucchese.

c) S. Giulia e l’Ordo officiorum

L’Ordo officiorum della cattedrale di Lucca è stato studiato da Giusti che
lo ha datato, per evidenze interne, alla fine del XIII secolo (28). Il codice (un
Liber Ordinarius), molto ricco di indicazioni sulla vita liturgica lucchese, documenta
una serie di feste in cui il Capitolo della cattedrale si recava in diverse
chiese nel giorno del santo titolare (29) per celebrarvi la Missa maior: fra queste
vi era anche S. Giulia.
“De sancta Iulia. De sancta Iulia proprietatem legimus; antiphona Beatus
vir; missam maiorem apud eius ecclesiam celebramus cum diacono et subdiacono
non canonicis” (30)
S. Giulia era inoltre una delle stationes durante le Rogazioni, giorni in cui
le processioni toccavano un gran numero di chiese, urbane ed extramurali:
quelle a cui ci si recava nel secondo giorno erano, nell’ordine, “S. Dalmazio
(distrutta), S. Silvestro (distrutta), Ss. Filippo e Giacomo (oggi S. Filippo), S.
Bartolomeo (in Silice, oggi S. Ponziano) e – dopo la predica fuori di questa
chiesa – S. Michele (S. Micheletto), S. Giulia, S. Giovanni” (31).
“Cum autem civitatem intrant dicunt has antiphonas, In civitate Domini
et Ierusalem civitas, deinde Crucifixum in carne usque ad Sanctam Iuliam;
intrantes ecclesiam dicitur hec antiphona, Simile est regnum. Dictis lectione et
oratione et prophetia, vadunt ad S. Iohannem canendo…” (32)
Che S. Giulia fosse visitata nelle due precedenti occasioni non desta certo
stupore: più interessante è invece che fosse una statio all’interno di un ciclo
processionale che costituiva “una delle più importanti manifestazioni della
liturgia medioevale”, “una gloriosa consuetudine liturgica, echeggiata da Roma”
(33). Durante ogni giorno della settimana di Pasqua (hebdomada alba), secondo
una tradizione che pare risalisse all’epoca longobarda, il Capitolo della cattedrale
si recava in processione a una delle basiliche più insigni e antiche della
città, dette anche ecclesiae maiores o sedales: la domenica di Pasqua S. Reparata,
il lunedì i chiostri della cattedrale di S. Martino, il martedì S. Donato, il mercoledì
S. Maria Forisportam, il giovedì S. Pietro maggiore, il venerdì S.
Frediano, il sabato S. Giovanni e la domenica in Albis, infine, di nuovo S.
Reparata e S. Giovanni (34).
Ai tempi dell’Ordinario, però, la consuetudine del venerdì era mutata: al
posto della chiesa di S. Frediano, ora si trova quella di S. Giulia.
“Feria VI. Invitatorium a duobus cantatur, videlicet Hec dies; .III. lectiones
de omelia Undecim discipuli vel de sermone Non vacat; responsorium
Undecim discipuli cum reliquis; ad Benedictus antiphona Undecim discipuli, oratio
Omnipotens sempiterne Deus, ante crucem ut supra. Deinde, hora <<competenti,
vadunt >> ad Sanctam Iuliam cum processione et antiphona Cum rex
glorie; ingredientibus ecclesiam dicitur antiphona de virgine et ibidem missa
maior. In Vesperis ut supra cum Alleluia propria; ad Magnificat antiphona Data
est michi omnis, ante crucem ut supra.” (35)
Secondo Giusti, “Non sappiamo né quando né perché la Statio del venerdì
dalla chiesa di S. Frediano fu trasferita alla piccola e secondaria chiesa di S.
Giulia; ciò avvenne certamente dopo il secolo X, forse da quando il Capitolo
accresciuto di molte notizie storiche del nostro paese, Lucca (Giusti) 1836, pp. 132-133. Sulla
storia dell’opera, cfr. M. GIUSTI, L’Ordo cit., pp. 524-525 e A. GUERRA – P. GUIDI, Compendio
di storia ecclesiastica lucchese dalle origini a tutto il secolo XII, Lucca 1924, p. 8.
cominciò a recarsi a S. Frediano – in seguito all’erezione del fonte – per la
Pentecoste.” (36)
Quello che qui interessa, comunque, non è tanto interrogarsi sui motivi
per cui S. Frediano avrebbe cessato di essere la statio del venerdì (37), quanto
su quelli per cui il suo posto sarebbe stato assunto proprio da S. Giulia.
Giusti definisce la chiesa “piccola e secondaria”, ma forse il ragionamento
potrebbe essere rovesciato: se S. Giulia venne scelta per sostituire S. Frediano,
accanto a chiese di primo piano, ciò significa – io credo – che “secondaria”
non doveva essere considerata nella vita liturgica del tempo, anche se l’Ordinario
testimonia una fase in cui, mutate le consuetudini, il vescovo non prendeva
più parte alla statio e quindi S. Giulia non era ecclesia sedalis (38).
Dal punto di vista topografico, se si escludono la cattedrale di S. Martino
e il complesso di S. Reparata e S. Giovanni (l’antica cattedrale e il battistero),
si può notare come le altre quattro chiese fossero poste, al di fuori della cinta
muraria altomedioevale, in corrispondenza delle porte alle quattro estremità
dell’asse cardo – decumanus (figura 1). Lo spostamento della statio da S.
Frediano a S. Giulia lasciava così scoperta la direttrice Nord della città e creava
quasi un doppione, rispetto a S. Maria Forisportam, nella direttrice Est, ma
restando all’interno delle mura antiche: l’osservazione non può che rinforzare
gli interrogativi sui motivi della scelta di S. Giulia (39).
Una prima spiegazione potrebbe esser suggerita da alcune annotazioni sul
Diario sacro di Mansi – Barsocchini. Per le feste mobili del mese di marzo,
dopo la descrizione delle cerimonie pasquali, “L’ultimo venerdì di questo
mese. «Festa a s. Giulia, ove si venera un ss. Crocifisso miracoloso, ed essendo
impedito dalla settimana santa, vien trasferita al venerdì detto dell’ottava di
Pasqua»”. Nella descrizione del venerdì di Pasqua, con riferimento alle consuetudini
in epoca moderna, “scontro della croce, o sia ottava del venerdì santo”,
con visita alla cappella del Volto Santo; dopo alcune ipotesi sull’origine della
consuetudine, il Diario prosegue “Anche anticamente però si faceva in questo
giorno una processione che chiamavasi dello Scontro della Croce, ma del
solo capitolo della cattedrale, il quale dopo portavasi a s. Giulia, ove cantava
secondo il solito la messa.” (40).
Il collegamento fra la chiesa di S. Giulia, il venerdì santo (e quello di
Pasqua) e l’adorazione della croce, potrebbe essere allora un crocifisso conservato
nella chiesa, a cui veniva attribuito un evento miracoloso che aveva
creato grande scalpore, collocabile nella prima metà del XIII secolo (41). E
che il crocifisso avesse un posto d’onore può esser forse suggerito anche dalla
processione per il secondo giorno delle Rogazioni: dopo la statio a S. Micheletto
si cantavano le antifone In civitate Domini e Ierusalem civitas, chiaramente evocative
dell’ingresso in città, poi, nell’approssimarsi a S. Giulia, Crucifixum in
carne (42).
Il racconto del miracolo ci è giunto attraverso un documento coevo
all’Ordinario: nel 1295 il vescovo Paganello offriva indulgenze a chi avesse contribuito
a ricostruire la chiesa “Cum itaque Ecclesia sancte Julie propter vetustatem
ipsius adeo minetur ruinam quod omnino indigeat reparari…” (43). Il documento
prosegue poi col racconto del “mirandum miraculum” del crocifisso.
Sarebbe opportuno domandarsi in quale misura affermazioni come “minetur
ruinam… indigeat reparari” siano da prendere alla lettera, oppure da ascrivere
a un tópos di questo genere di documenti (44): la ricostruzione, in realtà,
potrebbe essere stata proprio conseguenza del nuovo ruolo che aveva assunto
la chiesa come statio (45). In ogni caso, secondo Ridolfi, i lavori immediatamente
conseguenti portarono al rifacimento della chiesa in materiale laterizio,
sopra la base antica in pietra; la facciata in marmo, invece, venne completata
in due tempi: prima, nel 1344-1345, la parte inferiore a tre archi poco agget-
tanti, opera di Colluccio di Collo, poi, verso la fine del secolo, la parte superiore
con la bifora ad archetti trilobati (46).
Della chiesa va sottolineata anche la posizione: pare fosse detta de Curte
Alocingorum, e tuttora prospetta sulla piccola piazza su cui si affacciavano pure
le case della potente famiglia degli Allucinghi (o Allucingoli, Allucignoli) (47).
Da documenti dei secoli IX-X, secondo Bini, si può desumere che la chiesa
fosse di pertinenza della famiglia e da questi ceduta al vescovato, nella cui
proprietà risulta nel 964 (48).
Verso la fine del XII secolo Ubaldo Allucinghi divenne papa (Lucio III,
1181-1185), mentre Gerardo, designato come vescovo dal clero lucchese, fu
invece creato cardinale nel 1182 dal congiunto Lucio III, che gli affidò impor-
tanti incarichi diplomatici (49). Da Lucio III pare venisse il nome di “corte
del papa” all’attuale piazzetta del Suffragio (50), illeggiadrita dalla facciata di
S. Giulia. Non è da escludere quindi che qualche peso abbia avuto la famiglia
Allucinghi nella scelta di S. Giulia come chiesa stazionale.
Un’altra prossimità topografica può essere considerata altrettanto interessante:
attigui alla chiesa per lo meno dal 1186 erano gli edifici della Magione
dei Cavalieri di Altopascio. L’Ordine religioso-militare (noto anche come
“Cavalieri del Tau”), particolarmente fiorente nei secoli XII-XIII, possedeva
a Lucca una casa con ospedale e magazzino, di cui “qualche resto è visibile
nel ramo del vicolo dell’Altopascio che esce su via S. Croce…” (51). L’ubicazione
della Magione era chiaramente strategica, nei pressi della porta orientale della
città (SS. Gervasio e Protasio) (52), da cui partiva la strada per Altopascio,
prima tappa sulla via Romea.

d) S. Giulia nelle fonti agiografiche e liturgiche

Al di là comunque di ipotetiche influenze esterne, dovute al prestigio di
una nobile famiglia o di un Ordine cavalleresco, e della devozione al crocifisso
miracoloso, possiamo anche valutare la popolarità della santa titolare
della chiesa usando come indicatore la diffusione della sua Passio. Abbiamo
visto che nell’insieme dei testimoni del testo agiografico la maggior parte è
lucchese: possiamo ora domandarci, viceversa, quale sia la frequenza con cui
s’incontra la Passio di s. Giulia nell’insieme dei Passionari lucchesi, in confronto
ad altri santi di culto schiettamente locale (53).
Garrison, nel suo classico studio sui manoscritti miniati, offre una tabella
sinottica dei santi inclusi in dieci Passionari da lui riconosciuti come lucchesi.
Prendendo in esame solo i santi di cui l’Autore segnala che godevano di speciale
venerazione a Lucca (tanto da essere considerati rivelatori di probabile
provenienza lucchese di un codice), Senesio ricorre in 5 su 7 dei codici che
potrebbero contenerlo, Teodoro 6 su 7, Edmondo 3 su 6; Marciano e Nicandro
1 su 7, Senzio 2 su 6, Vincenzo e Benigno 2 su 6, Cassio 3 su 6, Giasone,
Mauro e Ilaria 3 su 3, Agnello 4 su 4 (54). Giulia invece è presente in 6 codici
su 6 (55).
Il fatto che la Passio di s. Giulia si trovi in tutti i Passionari che conservano
quella parte dell’anno mi pare dunque un segno del rilievo che doveva avere la
santa nella vita religiosa lucchese, e di conseguenza la chiesa a lei dedicata.
Una controprova può venire dal confronto con Pisa, necessario termine
di paragone non tanto per la vicinanza geografica, quanto perché della diocesi
facevano parte la pieve di S. Giulia a Porto Pisano e soprattutto il monastero
della Gorgona, presso il quale sarebbe stato conservato il corpo della
martire fino alla sua traslazione a Brescia (56). In diocesi di Pisa vi era anche
un’altra pieve (57), ma non una chiesa in città, e – ancora più importante –
stando ai testi liturgici e agiografici la santa pare aver goduto di minore fortuna.
Bisogna però tener presente che il patrimonio codicologico pisano ha
subito una sorte più travagliata di quello lucchese (58) e non va quindi sopravvalutato
il fatto che la Passio BHL 4516 si trovi in un solo Passionario: dei
tre riconosciuti come pisani, inoltre, due non conservano quella parte dell’anno
(59).
Più significativa, invece, è l’assenza di Giulia nell’Antico Calendario della
Chiesa Pisana, che Sainati pubblica in appendice al suo Diario sacro traendolo
da “…due Calendari del secolo XII, che sono premessi ai due Libri dell’Epistole
e degli Evangelii, esistenti in pergamena nella Sacrestia della Primaziale.” (60).
Dell’opera Garrison ha rilevato i limiti metodologici (61), ma ho avuto la possibilità
di esaminare alcuni manoscritti conservati nella Biblioteca Capitolare
di Pisa, in particolare l’Epistolario Pisa, Bibl. Cap., 146, l’Evangelistario Pisa,
Bibl. Cap., 148 e il codice composito Pisa, Bibl. Cap., 13 (62); negli ultimi
due, rispettivamente databili alla metà o fine del XII e al XIV secolo (63), si
conserva un Calendario, senza alcun dubbio pisano (64): in entrambi è assente
s. Giulia (65).
Un problema a parte, poi, è posto proprio dal monastero della Gorgona,
con la sua dipendenza pisana di S. Vito: se infatti la pala d’altare raffigurante
la santa con scene della vita, attualmente conservata nel Museo dell’Arciconfraternita
di S. Giulia di Livorno, è stata attribuita al pisano Maestro di San Torpè,
per la committenza di uno dei due monasteri (66), bisogna però notare che
nei documenti riguardanti i due enti la martire non figura mai fra i santi tito-
(63) Ringrazio Simona Gavinelli per la cortesia nell’offrire una prima datazione, su un limitato
campione fotografico; del codice composito Pisa, Bibl. Cap., 13 la datazione riguarda solo
il Calendario. L’Evangelistario Pisa, Bibl. Cap., 148 è un codice di medie dimensioni scritto a
piena pagina; il Calendario, scritto da mano diversa ma coeva (e con aggiunte successive),
occupa un quaternione (ff. 169-176) inserito fra gli ultimi due fascicoli, che contengono pericopi
per il Commune sanctorum di cui si nota la discontinuità nel testo: l’ultimo foglio prima
del Calendario (168v) termina con “Ecce venit sponsus, exite obviam” (Mt. 25, 6), da una lettura
“In natale virginis” (cfr. f. 167r), e il primo foglio dell’ultimo fascicolo (177r) inizia con
“in arborem sicomorii ut videret illum” (Lc. 19, 4), probabilmente da una lettura In dedicatione
ecclesiae. La discontinuità è dovuta verisimilmente alla caduta del bifoglio esterno dell’ultimo
fascicolo, oggi un ternione.
Nel Calendario, f. 172v, a “XV kalendas [Iulii]” (17 giugno) è stato aggiunto (da mano
non molto posteriore) “Ranerii confessoris”: poiché Ranieri morì nel 1160 e fu subito acclamato
santo, tanto da essere sepolto in Duomo (cfr. N. CATUREGLI, Ranieri di Pisa, in Bibliotheca
Sanctorum, XI, Roma 1968, col. 39), il fatto che il nome sia stato aggiunto può far pensare che
la prima mano del Calendario non sia di molto posteriore alla data della morte.
Il codice composito Pisa, Bibl. Cap., 13, di grandi dimensioni, comprende un Messale, un
Epistolario e un altro Messale incompleto (termina con l’Ottava di s. Lorenzo). Alle tre parti è
premesso un ternione contenente il Calendario, non numerato; le commemorazioni sono tutte
di un’unica mano.
lari (67). Si può aggiungere, infine, che Giulia non viene presa in considerazione
da Zaccagnini nel suo studio sui santi “pisani”, dove pure si parla di
Gorgonio e della Gorgona (68).
La figura di s. Giulia, dunque, emerge a Lucca con particolare rilievo: le
testimonianze sul culto della santa e quelle sulle diverse chiese a lei dedicate
convergono e si rinforzano a vicenda. Se l’antichità delle intitolazioni lucchesi,
infatti, induce a pensare che nella città ducale sia da riconoscere il centro di
irradiazione del culto alla martire, questa osservazione, a sua volta, getta nuova
luce sull’elevato numero di testimoni lucchesi della Passio e autorizza a formulare
l’ipotesi che proprio in quella città si siano verificate le circostanze che
hanno sollecitato la composizione del testo agiografico.
GIANNI BERGAMASCHI

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NOTE

Desidero ringraziare gli amici Liliana Martinelli e Roberto Perelli Cippo per i preziosi
consigli, mio fratello Luca e Giorgio Nebbia per le stimolanti conversazioni con cui hanno sempre
seguito le mie ricerche.
(1) Ricordo qui solamente, per la prima fase, la memorabile mostra con una pubblicazione
(S. Salvatore di Brescia. Materiali per un Museo, 2 vv., Brescia 1978) che fece il punto di quanto
fin allora acquisito; per gli anni più recenti Culto e storia in Santa Giulia, a c. di G. Andenna,
Brescia 2001 (Atti del Convegno, Brescia 20 ottobre 2000), che più da vicino riguarda gli argomenti
qui trattati; sulla doppia intitolazione, S. GAVINELLI, L’Omeliario del monastero di S.
Salvatore – S. Giulia di Brescia, in “Aevum”, 78 (2004), pp. 345-349.
(2) Per la pieve, cfr. G. CICCONE – S. POLIZZI, Le istituzioni pubbliche ed ecclesiastiche a
Livorno fra il 1000 e il 1400, in “Studi Livornesi”, I (1986), pp. 27-31; M. L. CECCARELLI LEMUT
– S. SODI, Il sistema pievano nella diocesi di Pisa dall’età carolingia all’inizio del XIII secolo, in
“Rivista di storia della Chiesa in Italia”, 58 (2004), pp. 403-404. Non intendo entrare nell’argomento,
ampiamente dibattuto ma non sempre in modo adeguato, del passaggio dal culto nella
pieve al patronato sulla città, su cui non mi risulta sia stata ancora detta una parola definitiva.
Non è poi il caso di toccare, in questa sede, altre intitolazioni o toponimi col nome della santa.

(3) Cfr. G. BERGAMASCHI, Una redazione ‘bresciana’ della Passio sanctae Iuliae in Toscana,
in “Nuova Rivista Storica”, 87 (2003), pp. 628-630.
(4) Bibliotheca Hagiographica Latina antiquae et mediae aetatis (Subsidia Hagiographica 6),
Bruxelles 1992 (ripr. facs. dell’ed. 1898-1901), p. 669; BHL-Novum supplementum (SH 70),
Bruxelles 1986, p. 499; la Passio è edita in AASS Maii, V, Parisiis – Romae 18663, p. 170 (1a
ed. Antverpiae 1685, pp. 168-169); per altre edizioni, cfr. BHL cit.: si tenga però presente che
l’ultima (Onofri, 1855) è solo una discutibile riproposizione dell’edizione Ruinart (1694), con
pesanti interventi (come la sostituzione di parole o frasi di BHL 4516 con quelle da 4517), non
giustificati in nota.
(5) Cfr. G. BERGAMASCHI, Una redazione ‘bresciana’ cit., nota 21 a p. 628. La frase, ad esempio,
“invenerunt vitam et passionem ejus ac certamen Angelicis manibus descriptum” (AASS
Maii, V cit., p. 170), che è stata a volte interpretata come parte integrante della Passio, costituisce
invece una delle aggiunte tarde, estranea alla redazione originale. BHL 4517 può essere
invece un testimone indiretto di BHL 4516, così come la versione di Pietro Calò (cfr. BHLNS
cit., p. 499), rimaneggiamento però forse più rispettoso.
(6) Il titolo provvisorio che posso indicare è Tre redazioni della ‘Passio sanctae Iuliae’. Quella
a cui ho assegnato la sigla provvisoria di P.II corrisponde alla redazione vista dai Bollandisti e
dalla quale è stata pubblicata come appendice la clausula de translatione in AASS Maii, V cit.,
p. 171: cfr. G. BERGAMASCHI, Una redazione ‘bresciana’ cit., pp. 627-630; per la terza redazione,
infra, nota 67.
(7) I diversi testimoni verranno esaminati a introduzione dell’edizione critica; su quelli lucchesi,
cfr. G. BERGAMASCHI, Una redazione ‘bresciana’ cit., p. 661; per il testimone pisano e quello
pistoiese, cfr. Ibid., p. 655 e infra note 59 e 68, ma anche 67.
(8) Cfr. G. CICCONE, La leggenda di Livorno, in “Studi Livornesi”, VII (1992), p. 14. Lo
studio, a quanto mi risulta, è il primo tentativo serio di sfatare alcuni miti storiografici livornesi.

(9) Del resto, per ragioni che spiegherò nel commento all’edizione della Passio¸ non ritengo
si possa accogliere come scontata l’attribuzione, che spesso s’incontra (a partire da F. LANZONI,
Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del secolo VII (an. 604) [Studi e testi 35, II], Faenza
1927, p. 684), ai monaci della Gorgona e della Capraia; più prudentemente, sugli AASS i monaci
vengono indicati solo come destinatari: “Monachos Gorgonenses alloqui auctor videtur…” (AASS
Maii, V cit., p. 171).
(10) Cfr. D. BARSOCCHINI, Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca,
V, 2, Lucca 1971, rist. anast. di Lucca 1837, doc. n. 1043, a. 900, p. 643. Improprio è il riferimento
a documenti del 760-763 in E. ABELA, Lucca, in Archeologia urbana in Toscana. La città
altomedievale (Documenti di Archeologia 17), Mantova 1999, p. 39; tale riferimento è frutto
probabilmente di un equivoco nell’interpretare I. BELLI BARSALI, La topografia di Lucca nei secoli
VIII-XI, in Atti del V Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo. Lucca 3-7 ottobre 1971,
Spoleto 1973, p. 526. Un’accurata descrizione della chiesa in Basiliche medioevali della città di
Lucca. La guida inedita di Enrico Ridolfi (1828-1909), a c. di G. Morolli, Cinisello Balsamo 2002,
pp. 321-326.
(11) Relazione del ritrovamento in G. ARRIGHI, Una scoperta archeologica a Lucca un secolo
fa. Consistenza dei reperti – Un parere di Francesco Carrara, estr. da “Lucca – Rassegna del
Comune”, V, 1, 1961, pp. 15-17.
(12) G. CIAMPOLTRINI, Segnalazioni per l’archeologia d’età longobarda in Toscana, in
“Archeologia medievale”, X (1983), p. 518; alle p. 516-518 l’Autore descrive e commenta il
corredo, chiarendo che è da riferire integralmente a una singola sepoltura presso S. Giulia e

(17) Codice Diplomatico Longobardo, II, ed. L. Schiaparelli (FISI 63), Roma 1933, doc. n.
272, a. 772, pp. 382-383; cfr. anche C. VIOLANTE, Pievi e parrocchie cit, pp. 161-162.
(18) L. NANNI, La parrocchia studiata nei documenti lucchesi dei secoli VIII-XIII, Roma 1948,
pp. 48-49. Anche la Belli Barsali pare riprendere la tesi di Nanni, quando dice “Potrebbe essere
anteriore [S. Giulia di Lucca] al sec. VIII, sia per la dedicazione…”: I. BELLI BARSALI, La topografia
di Lucca cit., p. 526; cfr. anche EAD., Problemi della topografia cit., p. 75.
(19) Sull’antichità e la genesi del culto è difficile pronunciarsi: se la presenza nel Martirologio
Geronimiano (“In Corsica insula passio sanctae Iuliae”) può rimandare al V secolo (cfr. E.
CAMISANI, S. Giulia, vergine, martire, in Bibliotheca sanctorum, VI, Roma 1964, col. 1164), la
formulazione della notizia, con la passio in Corsica, contrasta con la tesi di Lanzoni (ormai generalmente
condivisa), secondo cui proprio attorno alla metà del V secolo sarebbero giunte in
Corsica le reliquie di una santa Giulia, martire africana, in seguito alle persecuzioni vandaliche,
e ciò avrebbe dato vita al culto (cfr. F. LANZONI, Le diocesi d’Italia cit., pp. 685-686). In
ogni caso, Giulia non figura fra i santi del cosiddetto “fondo comune”: cfr. J. F. HUOT, Les
manuscrits liturgiques du canton de Genève (Iter Helveticum, V = Spicilegii Friburgensi subsidia
19), Fribourg 1990, p. 44. Sullo sviluppo del Santorale nell’evoluzione dei Sacramentari, cfr.
F. DELL’ORO, Genesi e sviluppo del santorale nei sacramentari, in Il tempo dei santi fra Oriente
e Occidente. Liturgia e agiografia dal tardo antico al concilio di Trento. Atti del IV Congresso di
studio dell’AISSCA. Firenze, 26-28 ottobre 2000, Roma 2005, pp. 79-138.
(20) Guidi ritiene che “data la popolazione del territorio e la sua non piccola distanza dalla
città, dovette sorgere su quelle alture assai per tempo una chiesa battesimale”: P. GUIDI,
L’antichissimo plebato cit., p. 328. La pieve descritta da Ridolfi come S. Giulia (cfr. Basiliche medioevali
della Provincia lucchese. La guida inedita di Enrico Ridolfi (1828-1909), a c. di P. Bertoncini
Sabatini, Cinisello Balsamo 2003, pp. 174-179) è in realtà quella di S. Stefano (in località Pieve
di Controne), divenuta pieve fra il IX e il X secolo staccandosi da S. Giulia, come ha mostrato
Guidi, che identifica invece S. Giulia in località Pieve dei Monti di Villa. L’equivoco nasce, probabilmente,
dall’aver ricevuto entrambe le pievi una seconda intitolazione (S. Giovanni) sopravvissuta
poi, in entrambe, alla più antica: cfr. P. Guidi, L’antichissimo plebato cit, pp. 328 ss.
(21) L’opera venne iniziata durante il pontificato di Gregorio VII: cfr. H. ZIMMERMANN,
Deusdedit, in “Dizionario biografico degli italiani”, XXXIX, Roma 1991, p. 505.

(22) Die Kanonessammlung des Kardinals Deusdedit, ed. V. W. von Glanvell, Aalen 1967
(ripr. di Paderborn 1905), p. 355.
(23) W. KURZE, Notizie dei Papi Giovanni VII, Gregorio III e Benedetto III nella raccolta
dei canoni del Cardinal Deusdedit, in ID., Studi Toscani. Storia e Archeologia, Castelfiorentino
2002, pp. 397-414 (trad. it. di Notizen zu den Päpsten Johannes VII., Gregor III. und Benedikt
III. in der Kanonessammlung des Kardinals Deusdedit, in “Quellen und Forschungen aus italienischen
Archiven und Bibliotheken”, 70 [1990], pp. 23-45). Cfr. invece S. SODI – M. L.
CECCARELLI LEMUT, La diocesi di Roselle-Grosseto dalle origini all’inizio del XIII secolo (Quaderni
Stenoniani 2), Ospedaletto (Pisa) 1994, pp. 40-41, in cui gli Autori (che non citano la Collectio
canonum, ma il Liber censuum, cfr. Ibid., nota 162, nella quale viene data l’identificazione con
i papi Giovanni XV [985-996] e Gregorio V [996-999]) respingono la datazione avanzata da
Vittorio Burattini in un articolo del 1991 (cfr. Ibid., nota 163), corrispondente a quella di Kurze
e ripresa dallo stesso Autore nel 1996 (cfr. articolo citato infra, nota 26).
(24) W. KURZE, Notizie cit., p. 403.
(25) Cfr P. M. CONTI, Il ‘monasterium’, sacello di fondazione privata e le missioni cattoliche
nella Tuscia del secolo VIII, in Studi storici. Miscellanea in onore di Manfredo Giuliani, Parma
1965, pp. 81-102 (cfr. anche lo studio citato infra alla nota 36); per l’uso del vocabolo, cfr.
anche P. AEBISCHER, “Monasterium” dans le latin de la Tuscie longobarde, in “Anuario de Estudios
Medievales” 2 (1965), pp. 11-30. Altri due “monasteria” ancora più a sud (in territorio di Sovana)
vengono riconosciuti come “kleine Kirchen” in F. SCHNEIDER, Die Reichsverwaltung in Toscana von
der Gründung des Langobardenreiches bis zum Ausgang der Staufer (568-1268), Roma 1914),
p. 125, nota 3 (“piccole chiese” nella trad. it., L’ordinamento pubblico nella Toscana medievale.
I fondamenti dell’amministrazione regia in Toscana dalla fondazione del regno longobardo alla
estin-zione degli Svevi (568-1268), Firenze 1975, p. 128, nota 108).
(26) V. BURATTINI, Il cristianesimo nella Maremma grossetana dalle origini al Medioevo, in Guida
agli edifici sacri: abbazie, monasteri, pievi e chiese medievali della provincia di Grosseto, a c. di
C. Citter, Siena 1996, p. 122. Secondo l’Autore, il monasterium “…essendo menzionato insieme
a Piscaria e a Villamagna, doveva trovarsi non lontano da Castiglione della Pescaia e dall’Alma.”
(Ibidem), ma forse si dovrebbe pensare a una posizione più arretrata, sull’antico lago di Prile:
Villamagna potrebbe infatti collocarsi “nel vallone della Fossa presso Grosseto” (cfr. E. REPETTI,
Dizionario geografico fisico storico della Toscana, V, Firenze 1972, ripr. di Firenze 1843, p. 781)
e il toponimo Flexu rimanda all’ansa di un corso d’acqua; per la curtis Flacianum è stata proposta
l’identificazione con la località Casoni del Terzo (cioè al terzo miglio da Roselle): cfr. C.
CITTER, Gli edifici sacri medievali nella Provincia di Grosseto in base all’evidenza archeologica, in
Guida agli edifici sacri cit., p. 150. Sulla presenza lucchese lungo la costa della Toscana centromeridionale,
da Vada Volaterrana al territorio di Sovana, cfr. F. SCHNEIDER, L’ordinamento pubblico
cit., pp. 72, 91-112 passim; in particolare per il Rosellano pp. 123-124; W. KURZE – C. CITTER,
La Toscana, in Città, castelli, campagne nei territori di frontiera (secoli VI-VII). 5° seminario sul
Tardoantico e l’Altomedioevo in Italia centrosettenrionale (Monte Barro 9-10 giugno 1994), a c.
di G. P. Brogiolo (Documenti di Archeologia 6), Mantova 1995, pp. 162-166; da ultimo C. RENZI
RIZZO, Corsica longobarda: dalle testimonianze scritte alle risultanze archeologiche, un provvisorio
status quaestionis, Pre-Tirage del IV Congresso Nazionale di Archeologia Medievale
(Scriptorium dell’Abbazia di San Galgano, Chiusdino-Siena, 26-30 settembre 2006), a cura di
R. Francovich – M. Valenti, Firenze 2006, pp. 530-535, con interessanti osservazioni sulle probabili
iniziative navali dei Longobardi di Lucca già entro la fine del VI secolo (ringrazio
l’Autrice per la comunicazione in anteprima). Resta però la necessità di una verifica più puntuale,
difficile allo stato attuale delle conoscenze topografiche, sul rapporto con l’enclave chiusina
nel territorio Rosellano, per la quale cfr. ad esempio F. SCHNEIDER, L’ordinamento pubblico
cit., p. 124; W. KURZE – C. CITTER, La Toscana cit., pp. 167-168.

(27) Riguardo all’antichità del culto (cfr. supra, nota 19) si avrebbe così un primo termine
di riferimento, che porterebbe elementi a favore di una datazione della Passio al VII secolo, come
proposto da Lanzoni (Le diocesi d’Italia cit., p. 685) e comunemente accettato.
(28) M. GIUSTI, L’Ordo officiorum della Cattedrale di Lucca, in Miscellanea Giovanni Mercati,
II, Letteratura medioevale (Studi e testi 122), Città del Vaticano 1946, pp. 523-566; la datazione
alle pp. 528-530. Lo studio di Giusti è citato nella bibliografia relativa agli Ordinari in A. G.
MARTIMORT, Les ‘Ordines’, les ordinaires et les cérémoniaux, Turnhout 1991, p. 57.
(29) Cfr. M. GIUSTI, L’Ordo cit., pp. 559-560.
(30) Lucca, Biblioteca Capitolare, cod. 608, ff. 53v-54r. In corsivo la rubrica e l’antifona,
che si spiega con la presenza di un altare dedicato a s. Nicolao, per il quale cfr. T. BINI, Notizie
della chiesa cit., pp. 38 e 49-50. E’ un peccato non conoscere questa proprietas lucchese, perché
sarebbe interessante confrontarla col ricco Ufficio proprio testimoniato dall’Ordinario (tuttora
spesso impropriamente citato con la vecchia definizione di Rituale) del monastero bresciano di
S. Salvatore – S. Giulia, per il quale cfr. M. BETTELLI BERGAMASCHI, Il tempo monastico in un
documento bresciano del XV secolo, in Il tempo vissuto, percezione, impiego, rappresentazione (Atti
del Convegno Internazionale. Gargnano, 9-11 settembre 1985), Bologna 1988, pp. 85-97;
S. GAVINELLI, La liturgia del cenobio di Santa Giulia in età comunale e signorile attraverso il Liber
Ordinarius, in Culto e storia in Santa Giulia cit., pp. 121-148, per l’Ufficio di s. Giulia p. 132.
(31) M. GIUSTI, L’Ordo cit., nota 135 a p. 552; cfr. anche D. BARSOCCHINI, Diario sacro delle
chiese di Lucca di monsignore Giovan Domenico Mansi, accomodato all’uso dei tempi presenti ed

accresciuto di molte notizie storiche del nostro paese, Lucca (Giusti) 1836, pp. 132-133. Sulla
storia dell’opera, cfr. M. GIUSTI, L’Ordo cit., pp. 524-525 e A. GUERRA – P. GUIDI, Compendio
di storia ecclesiastica lucchese dalle origini a tutto il secolo XII, Lucca 1924, p. 8.
(32) Lucca, Bibl. Cap., 608, f. 37v; has] hec cod. Iuliam] Iulian cod. Per il percorso da S,
Micheletto a S. Giulia, attraverso Porta S. Gervasio, cfr. fig 7. e p. 775.
(33) M. GIUSTI, L’Ordo cit., p. 549; A. GUERRA – P. GUIDI, Compendio cit., p. 124*.
(34) Cfr. M. GIUSTI, L’Ordo cit., pp. 549-550; sulle chiese sedales, direttamente dipendenti
dal vescovo, cfr. A. GUERRA – P. GUIDI, Compendio cit., pp. 118*-130* e 22*-23*; cfr. anche R.
SAVIGNI, Episcopato e società cittadina a Lucca da Anselmo II (1086) a Roberto (1225)
(Accademia lucchese di scienze, lettere ed arti. Studi e testi 43), Lucca 1996, pp. 284-286.
(35) Lucca, Bibl. Cap., 608, ff. 34r-34v; per l’espressione “ante crucem”, cfr. infra, nota 42.

(36) M. GIUSTI, L’Ordo cit., pp. 549-550; cfr. anche A. GUERRA – P. GUIDI, Compendio cit.,
nota 3 alle pp. 125*-126*. Il caso di una chiesa deputata al battesimo pentecostale non è comunque,
come a volte si è scritto, esclusivamente lucchese: cfr. M. CONTI, Ricerche sulle correnti
missionarie nella Lunigiana e nella Tuscia nei secoli VII e VIII, in “Archivio storico per le province
parmensi”, s. IV, 18 (1966), p. 58. La prima attestazione di S. Frediano come plebs baptismalis
è del 1016 (cfr. M. GIUSTI, Le canoniche della città di Lucca al tempo della Riforma
Gregoriana, in “Studi gregoriani”, III [1948], p. 345), ma secondo Conti la pratica del battesimo
pentecostale rimanda all’epoca dell’attività missionaria rivolta agli ariani, forse già da s.
Frediano stesso: cfr. M. CONTI, Ricerche cit, pp. 57-59, 66-67, 104.
(37) Qualche ragione si potrebbe forse trovare, più che nella funzione battesimale, nella
peculiare storia di S. Frediano. Divenuta canonica attorno alla metà dell’XI secolo, fu subito
considerata modello esemplare, tanto che il suo clero venne a più riprese invitato dai pontefici
a riformare la vita religiosa nella basilica Lateranense (prima attestazione certa nel 1106).
A confronto, assai meno esemplare doveva apparire la condotta dei canonici di S. Martino, riluttanti
ad accettare i limiti della vita in comune: ma proprio il crescente prestigio di S. Frediano,
con i privilegi che ciò comportava, doveva creare una situazione di costante e aspro attrito con
altri enti ecclesiastici, in particolare col Capitolo della cattedrale. La tensione, documentata da
ripetuti interventi pontifici (cfr. P. F. KEHR, Regesta Pontificum Romanorum. Italia Pontificia,
III, Etruria, Berolini 1908, docc. nn. 12 ss, aa. 1099 ss, pp. 414 ss., passim) doveva essere giunta
a un punto tale che Gelasio II nel 1118 ritenne opportuno rassicurare i canonici della cattedrale:
“Fraternitatem vestram vehementius conturbatam audivimus, quasi nos aliquid adversus
vos turbatione dignum fecerimus; nosse autem vos volumus quia, sicut fratres nostros, vos diligimus.
Etsi enim B. Fridiani eccl. quietam esse velimus, non tamen quid vobis fecimus aut subtraximus
aut infirmavimus.” (P. GUIDI – O. PARENTI, Regesto del Capitolo di Lucca, I [Regesta
Chartarum Italiae 6], Roma 1910, doc. n. 764, a. 1118, p. 327). Ma il conflitto doveva trascinarsi
ancora a lungo, come documenta ad esempio un lodo arbitrale del 1173 (cfr. Ibid., II
[Reg. Ch. It. 9], Roma 1912, doc. n. 1314, a. 1178, pp. 189-192). Se poi si aggiunge che, mentre
tutte le altre chiese sedales, pur divenendo canoniche nella prima metà dell’XI secolo, restavano
sotto la giurisdizione del vescovo, S. Frediano acquistava una sempre maggiore autonomia
(forse già a partire dal 1106), ci sarebbero motivi sufficienti per spiegare l’esclusione di S.
Frediano dalle chiese stazionali della settimana di Pasqua. La questione, in realtà, resta aperta
e controversa: se infatti un lascito, in un testamento del 1180 (cfr. P. GUIDI – O. PARENTI, Regesto,
II cit., doc. n. 1415, p. 267), “sex hospitalibus ecclesiarum sedalium Luc.” dà motivo di pensare
che S. Frediano facesse ancora parte del gruppo, dato che S. Giulia non fu mai dotata di
un ospedale (cfr. A. GUERRA – P. GUIDI, Compendio cit., pp. 121*-122*), un altro lascito nel
medesimo documento nomina esplicitamente, nell’ordine, S. Maria Forisportam, S. Martino, S.
Reparata, S. Michele in Foro, S. Pietro Maggiore e S. Donato, dove si nota, rispetto al gruppo
delle chiese sedales, l’assenza di S. Frediano e la presenza di S. Michele. Su tutto l’argomento,
si vedano M. GIUSTI, Le canoniche cit., pp. 329-336 (S. Martino) e 345-348 (S. Frediano); E.
COTURRI, La canonica di S. Frediano a Lucca dalla prima istituzione (metà del sec. XI) alla unione
alla congregazione riformata di Fregionaia (1517), in “Actum Luce”, III (1974), pp. 59-67; R.
SAVIGNI, Episcopato e società cit., pp. 257-259, 284-287; C. BUCHANAN, Spiritual and spatial
authority in medieval Lucca: illuminated manuscripts, stational liturgy and the Gregorian Reform,

in “Art History”, 27 (2004), pp. 733-734 e 739. D’altra parte, l’inclusione di S. Frediano all’interno
della nuova cinta muraria duecentesca non può essere considerata una spiegazione, poiché
lo stesso vale per S. Maria Forisportam. In ogni caso, è probabile che col tempo le chiese
stazionali suburbane non fossero più sentite come “baluardo” della città.
(38) Cfr. A. GUERRA – P. GUIDI, Compendio cit., nota 3 a p. 126*.
(39) Sulle mura, però, cfr. supra, nota 37.
Si veda la figura 1: Lucca nel sec. VIII (da I. BELLI BARSALI, La topografia di Lucca cit.,
tav. I). Chiese citate. Fuori delle mura: 1) S. Frediano; 34) S. Maria Forisportam; 29) S. Pietro
Maggiore; 33) S. Donato; 27) S. Michele in Cipriano (S. Micheletto). Entro le mura: 5) S. Martino;
2) S. Reparata e S. Giovanni; 3) S. Giulia. II decumanus è individuabile nell’asse che va
da porta S. Donato a porta S. Gervasio (vie S. Paolino e S. Croce); il cardo nell’asse che, partendo
da porta S. Pietro per via S. Gerolamo, giunge fino a via del Moro, con la medioevale
porta S. Frediano non in asse (cfr. Ibid., p. 464).

(40) D. BARSOCCHINI, Diario sacro cit., pp. 81, 101-102.
(41) Cfr. T. BINI, Notizie della chiesa cit., pp. 18-26 (la storia del miracolo) e 66-67 (il documento
relativo, del vescovo Paganello).
(42) Mi pare invece da escludere un’allusione al martirio in croce di s. Giulia, anche perché
non ho trovato altre informazioni che possano confermarla. Si noti poi che l’indicazione
“ante crucem”, nel Benedictus e nel Magnificat del venerdì di Pasqua, non si riferisce a S. Giulia,
ma alla cappella del Volto Santo nella cattedrale di S. Martino, cioè alla normale processione
per Lodi e per Vespro: cfr. M. GIUSTI, L’Ordo cit., p. 535. Il crocifisso si conserva oggi nel
presbiterio della cattedrale.
(43) In T. BINI, Notizie della chiesa cit., p. 66.
(44) Un caso equivalente, per quanto di genere diverso, è quello delle domenicane di S.
Croce a Pisa che, lamentando i pericoli in cui vivevano, chiesero l’assegnazione di una nuova
sede a S. Silvestro, ma le mantennero poi entrambe: cfr. G. BERGAMASCHI, Una redazione ‘bresciana’
cit., p. 658.
(45) Meriterebbe anche una valutazione, a confronto con i coevi edifici sacri lucchesi, la
preziosa facciata marmorea della chiesa.

(46) Cfr. Basiliche medioevali della città cit., pp. 323-325 (figure 2 e 4); non è purtroppo
più accessibile, per edificio addossato al fianco della chiesa, quella parte del lato settentrionale
che l’Autore descrive come la più antica (cfr. Ibid., p. 321); anche la Belli Barsali attribuisce la
parte absidale in mattoni al XIII secolo: cfr. I. BELLI BARSALI, Guida di Lucca cit., p. 158. Per
i documenti, cfr. T. BINI, Notizie della chiesa cit., pp. 28-32 e 69-71.
(47) Cfr. T. BINI, Notizie della chiesa cit., pp. 6-7 e 63-64 (figure 3 e 7). Il nome della casata
deriva da un Alluccio, diminutivo di Allone: cfr. R. PESCAGLINI MONTI, Nobiltà e istituzioni ecclesiastiche
in Valdinievole tra XI e XII secolo (con excursus su Gli Allucinghi, che precisa, fra l’altro,
i limiti cronologici entro cui sarebbe più corretto l’uso del nome gentilizio), in Allucio da
Pescia. Un santo laico dell’età postgregoriana. Religione e società nei territori di Lucca e della
Valdinievole. a c. di C. Violante (Atti del convegno, Pescia 18-19 aprile 1985), Roma 1991, p.
267; anche se non dimostrabile (cfr. H. SCHWARZMAIER, Lucca und das Reich cit., pp. 167, nota
31 e 170, nota 70, ma anche R. PESCAGLINI MONTI, Nobiltà cit., p. 270 e nota 9), trovo suggestiva
la possibilità di un rapporto con Allone, il duca di stirpe longobarda ricordato a Lucca
negli anni 774-785 e noto fra l’altro per il “monasterium in Luca quod Allo dux aedificavit”,
citato in diversi documenti del cenobio bresciano di S. Salvatore – S. Giulia, e identificabile
nel monastero lucchese di S. Salvatore “in Brisciano”, poi di S. Giustina: cfr. S. GASPARRI, I
duchi longobardi (Istituto Storico Italiano per il Medioevo. Studi Storici 109), Roma 1978, pp.
48-49; cfr. anche H. SCHWARZMAIER, Lucca und das Reich cit., pp. 39-42 (per Allone, passim, cfr.
Indice); M. BETTELLI BERGAMASCHI, Seta e colori nell’alto Medioevo: il ‘siricum’ del monastero
bresciano di S. Salvatore (Biblioteca dell’Archivio Storico Lombardo, s. II, 5), Milano 1994, p.
82, nota 51; G. BERGAMASCHI, Una redazione ‘bresciana’ cit. pp. 664-665; colgo l’occasione per
segnalare un refuso: la frase “Per ognuno dei due enti… Alina” si trova inserita fra “in Brisciano”
e la nota relativa (175), oltre che nella sua posizione corretta (pp. 665-666).
(48) Cfr. T. BINI, Notizie della chiesa cit., p. 7; l’Autore esprime l’opinione, in base ai documenti
esaminati, che la chiesa fosse stata fondata dagli Allucinghi. Sempre restando nel campo
delle suggestioni, non si può non pensare alle tombe di cui supra, nota 12 e testo relativo. Sul
rapporto fra edifici sacri e tombe dei fondatori, cfr. anche H. R. SENNHAUSER, Problemi riguardanti
le chiese dei secoli VII e VIII sul territorio della Svizzera, in Le chiese rurali tra VII e VIII
sec. in Italia settentrionale. 8° Seminario sul tardo antico e l’alto Medioevo in Italia settentrionale
(Garda, 8-10 aprile 2000 ), a c. di G. P. Brogiolo (Documenti di Archeologia 26), Mantova
2001, pp. 185-186 e G. P. BROGIOLO, La chiesa di San Zeno di Campione e la sua sequenza stratigrafica,
in Carte di famiglia. Strategie, rappresentazione e memoria del gruppo familiare di Totone
di Campione (721-877), a c. di S. Gasparri e C. La Rocca (Altomedioevo 5), Roma 2005, p. 99.

(49) Cfr. Allucingoli, Gerardo, in Dizionario biografico degli italiani (voce redazionale), II,
Roma 1960, pp. 509-510.
(50) Cfr. T. BINI, Notizie della chiesa cit., pp. 6-7.
(51) I. BELLI BARSALI, Guida di Lucca cit., pp. 158-159; l’Autrice prosegue mettendo in guardia
“…dove però gli energici restauri debbono rendere estremamente cauti”. (figura 5) Sono
tuttora visibili, nel ramo del vicolo dell’Altopascio che porta in via S. Croce, due stemmi del
“Tau” isolati, più uno alla sommità di una lastra marmorea con iscrizione e stemma del Maestro
Mariano Casassi (“Tempore domini Mariani de Casassis de Pisis magistri hospitalis Altopassus
MCCCCXII de mense iulii”). Bini, oltre a tale iscrizione, riporta anche quella del sepolcro (“…qui
obiit die XV novembris MCCCCXII VI indictione”), che si trovava nella chiesa “verso la
porta”: T. BINI, Notizie della chiesa cit., p. 39. Il termine a. q. per la Magione è dato da un
documento del 1186, 30 novembre, riguardante una controversia dell’ospedale di Altopascio,
in cui si legge: “Hec acta sunt coram [spazio bianco] presbitero de Sancta Iulia… Actum in
choro Sanctae Juliae.”: cfr. F. MUCCIACCIA, I cavalieri dell’Altopascio, in “Studi storici”, VI
(1897), p. 71, doc. n. 6. Lo studio (che fornisce un buon quadro complessivo sulla storia
dell’Ordine) si sviluppa in tre numeri della stessa rivista: VI (1897), pp. 33-92; VII (1898), pp.
215-232; VIII (1899), pp. 347-397; nel terzo (pp. 360-362), il Maestro Mariano Casassi.
Interessante sarebbe una ricerca sugli eventuali rapporti fra la Magione dei Cavalieri e la famiglia
Allucinghi, suggerita dalla posizione topografica (figura 7).
(52) Come curiosa coincidenza si può segnalare che anche il monastero bresciano di S.
Salvatore – S. Giulia (con annesso xenodochium) sorgeva in prossimità della porta orientale sul
decumano (S. Andrea).

(53) Analoga indagine si potrebbe compiere sui Calendari lucchesi: su quello premesso
all’Ordinario (di “mano non diversa”, ma che non pare compilato per l’Ordinario: cfr. M.
GIUSTI, L’Ordo cit., p. 526), ad esempio, si legge “Sancte Iulie virginis et martyris” (Lucca, Bibl.
Cap., 608, f. 3r, rubro colore: indice dell’imporatanza della santa).
(54) I primi tre fanno parte del gruppo che l’Autore definisce “Fairly certain indications
of facture for Lucca – Saints celebrated only in Lucca”, gli altri “Fairly certain indication in
Tuscan Passionaries of facture for Lucca”: E. B. GARRISON, Studies in the history of mediaeval
Italian painting, I, Firenze 1953, pp. s. n. [ma 152-153]; cfr. anche pp. 134-137; il calcolo, ovviamente,
è fatto sui codici che non siano lacunosi per la parte dell’anno (o anche solo del mese)
relativa al santo considerato.
(55) Cfr. Ibid., p. s. n. [ma 144], dove “Giuliana” al posto di “Giulia” è un refuso, come
da me verificato sul codice in questione; una frequenza paragonabile a quella di Giulia si trova
invece nel gruppo che Garrison definisce “Saints widely venerated but specially venerated in
Lucca: indispensable for attribution to Lucca” (Ibid., p. s. n. [ma 153]); si tenga presente che
l’Autore include Giulia nella rosa dei santi “lucchesi” solo più avanti nei suoi studi: cfr. E. B.
GARRISON, Studies in the history cit., IV, Firenze 1962, p. 298.
(56) Per la pieve di Porto Pisano, cfr. supra, nota 2; per la traslazione a Brescia, nota 15.
(57) S. Giulia di Caprona: cfr. G. BERGAMASCHI, Una redazione ‘bresciana’ cit., p. 662, carta
a p. 663; M. L. CECCARELLI LEMUT – S. SODI, Il sistema pievano cit., pp. 413-414.

(58) Cfr. R. BARSOTTI, Gli antichi inventari della Cattedrale di Pisa, in “Critica d’arte”, 3,
1956, pp. 501 e 505; tutto lo studio, uscito a più riprese fra il 1956 e il 1957, documenta la
consistenza del patrimonio librario, a partire dall’inventario di “Giovanni sacrista” (fine del XIII
– primi del XIV secolo) e la sua successiva dispersione; un accenno ai libri oggi conservati nella
Biblioteca Capitolare, alla nota 8, p. 511. Sulla difficoltà di ricostruire la documentazione agiografica
pisana, cfr. G. ZACCAGNINI, L’agiografia pisana medioevale: problemi e prospettive di
ricerca, in Devozione e culto dei santi a Pisa nell’iconografia a stampa, Pontedera 1997, pp. 46-
47. D’altra parte Lucca pare sia stato il più attivo centro di produzione di manoscritti in
Toscana fra XI e XII secolo e il numero di Passionari è del tutto eccezionale: cfr. C. BUCHANAN,
Spiritual and spatial authority cit., pp. 730 e 736.
(59) Mi riferisco ai Passionari “classici” (XII secolo) riconosciuti da Garrison. Il ms. Pisa,
Archivio Capitolare, C 181, per le sue caratteristiche, costituisce un caso a parte e la Passio ivi
contenuta (non recensita nella BHL) non può essere assunta come indicatore di culto: cfr. G.
BERGAMASCHI, Una redazione ‘bresciana’ cit., passim, in particolare pp. 646-647; per i Passionari
pisani, Ibid., p. 655, nota 169 a p. 662 e infra, nota 67.
(60) Cfr. G. SAINATI Diario sacro, Torino 18983, p. 255; il 22 maggio a p. 259.
(61) L’Autore, non essendo riuscito a identificare i codici con i due Calendari, conclude
“…because it is a combination and because the dating cannot be checked, neither is usable”:
E. B. GARRISON, Studies in the history, IV cit., p. 357, nota 5; cfr. anche G. ZACCAGNINI,
L’agiografia pisana cit., p. 21.
(62) Ringrazio mons. Dolfi per avermi consentito di accedere alla Biblioteca (attualmente
presso l’Opera della Primaziale) e di scattare alcune fotografie. In assenza, a quanto mi risulta,
di studi codicologici recenti con catalogazione del fondo, ho utilizzato per l’Epistolario il numero
“146” che si legge su un’etichetta posta al recto del primo foglio di guardia, per l’Evangelistario
il numero “148” su un’etichetta nel risvolto della coperta, per il codice composito la segnatura
“Ms 13” sulla costa. Quanto ho potuto vedere non corrisponde alla descrizione di Sainati: l’unico
Epistolario, il Pisa, Bibl. Cap., 146, coevo o di poco posteriore all’Evangelistario (cfr. nota
seguente), non contiene un Calendario e nell’Evangelistario Pisa, Bibl. Cap., 148 il Calendario
non è premesso.

(63) Ringrazio Simona Gavinelli per la cortesia nell’offrire una prima datazione, su un limitato
campione fotografico; del codice composito Pisa, Bibl. Cap., 13 la datazione riguarda solo
il Calendario. L’Evangelistario Pisa, Bibl. Cap., 148 è un codice di medie dimensioni scritto a
piena pagina; il Calendario, scritto da mano diversa ma coeva (e con aggiunte successive),
occupa un quaternione (ff. 169-176) inserito fra gli ultimi due fascicoli, che contengono pericopi
per il Commune sanctorum di cui si nota la discontinuità nel testo: l’ultimo foglio prima
del Calendario (168v) termina con “Ecce venit sponsus, exite obviam” (Mt. 25, 6), da una lettura
“In natale virginis” (cfr. f. 167r), e il primo foglio dell’ultimo fascicolo (177r) inizia con
“in arborem sicomorii ut videret illum” (Lc. 19, 4), probabilmente da una lettura In dedicatione
ecclesiae. La discontinuità è dovuta verisimilmente alla caduta del bifoglio esterno dell’ultimo
fascicolo, oggi un ternione.
Nel Calendario, f. 172v, a “XV kalendas [Iulii]” (17 giugno) è stato aggiunto (da mano
non molto posteriore) “Ranerii confessoris”: poiché Ranieri morì nel 1160 e fu subito acclamato
santo, tanto da essere sepolto in Duomo (cfr. N. CATUREGLI, Ranieri di Pisa, in Bibliotheca
Sanctorum, XI, Roma 1968, col. 39), il fatto che il nome sia stato aggiunto può far pensare che
la prima mano del Calendario non sia di molto posteriore alla data della morte.
Il codice composito Pisa, Bibl. Cap., 13, di grandi dimensioni, comprende un Messale, un
Epistolario e un altro Messale incompleto (termina con l’Ottava di s. Lorenzo). Alle tre parti è
premesso un ternione contenente il Calendario, non numerato; le commemorazioni sono tutte
di un’unica mano.
(64) La destinazione pisana è assicurata, in entrambi i Calendari, dalla presenza di santi
come Efisio, Ruxorio, Torpete, ma ancor più della “Dedicatio altaris sanctorum Evisii et Potiti”.
La “dedicatio” (6 giugno), nell’Evangelistario Pisa, Bibl. Cap., 148 è al f. 172r, nel Composito
Pisa, Bibl. Cap., 13 al f. [3v] del Calendario; nel primo le commemorazioni citate sono tutte
della prima mano. Sui santi e la dedicazione dell’altare, cfr. M. L. CECCARELLI LEMUT – G.
GARZELLA, Sulle rotte dei santi. Circolazione di culti e di reliquie a Pisa (VI-XII secolo), in
Reliques et sainteté dans l’espace médiéval (= “Pecia”, 2006), pp. 233-235.
(65) Evangelistario Pisa, Bibl. Cap., 148, f. 142r; Composito Pisa, Bibl. Cap., 13, f. [3r] del
Calendario. S. Giulia è assente anche nel Santorale dei due Messali nel codice composito; nel
primo si leggono le commemorazioni “In dedicatione maioris ecclesie Sancte Marie” (in una
posizione che corrisponde al 26 settembre: cfr. G. SAINATI, Diario sacro cit., p. 263) e di santi
come Torpete, Efisio e Potito, Frediano, ma non Ranieri e Rossore.
(66) Cfr. F. CORSI MASI, Storia, leggenda, tradizione popolare: una tavola del Trecento con
santa Giulia e storie, in “Comune notizie”, 2003, n. 43 n. s., pp. 33-44 (in particolare 36-39),
con bibliografia e ottime riproduzioni..

(67) Cfr. S. P. P. SCALFATI, Carte dell’Archivio della Certosa di Calci. 1 (999-1099); 2 (1100-
1150) (Thesaurus Ecclesiarum Italiae VII, 17 e 18), Roma 1977 e 1971. Non ci sono giunti
documenti, però, della prima fase di vita del monastero (prima dell’XI secolo), di cui l’archivio
era sfornito già nel medioevo e che comunque dovevano essere ben pochi: cfr. ID., Per la
storia dell’eremitismo nelle isole del Tirreno, in “Bollettino storico pisano”, 60 (1991) (Studi di
storia pisana e toscana in onore di Cinzio Violante), p. 288. Ci è giunta invece, attraverso un
codice proveniente dalla Certosa di Calci e appartenuto a uno dei due enti (cfr. G. MURANO,
I manoscritti del fondo Certosa di Calci nella biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze [Toscana
beni librari 6], Firenze 1996, p. 62), una terza redazione della Passio di s. Giulia: il testo, del
tutto autonomo dalle altre due redazioni e non recensito nella BHL, verrà pubblicato e commentato
in Tre redazioni…; posso intanto anticipare che la Passio, incompleta, non pare destinata
a un uso liturgico.
(68) Cfr. G. ZACCAGNINI, Agiografia e culto dei santi a Pisa nel Medioevo, in La chiesa pisana.
Notizie, rilievi e considerazioni sulla diocesi di Pisa, Pisa 1989, pp. 59-73; cfr. anche ID.,
L’agiografia pisana cit., pp. 21-78. Giulia non è ricordata nello studio di Grégoire sull’agiografia
toscana (cfr. R. GRÉGOIRE, Aspetti culturali della letteratura agiografica toscana, in Atti del V
Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo (Lucca 3-7 ottobre 1971), Spoleto 1973, pp.
569-625), ma l’Autore non include la martire nemmeno in un elenco di 66 santi “presenti nell’agiografia
lucchese”: cfr. ID., L’agiografia lucchese antica e medievale, in Lucca, il Volto Santo
e la civiltà medioevale (Atti del convegno internazionale di studi. Lucca, Palazzo Pubblico 21-23
ottobre 1982), Lucca 1984, pp. 55-61. La santa è ricordata invece in M. L. CECCARELLI LEMUT
– G. GARZELLA, Sulle rotte dei santi cit., pp. 235-236. Ho, per il momento, limitato il confronto
a Pisa; anche a Pistoia, dove la Passio di Giulia si trova in un Passionario, la santa è ricordata
in uno solo dei Calendari e in nessuno dei libri liturgici: cfr. N. RAUTY, Il culto dei santi a Pistoia
nel Medioevo (Millennio medievale 24. Studi 7), Tavarnuzze 2000, pp. 187-189 e 346.